La sfida che non può finire

Perché sprecare anni di studi a migliorare la propria conoscenza di un ecosistema?
Perché sforzarsi di scrivere una ballata ancor più struggente e delicata rispetto alle tantissime già scritte?
Perché attraversare un deserto a piedi in minor tempo o navigare un oceano nella più profonda solitudine?
Cosa c’è di sbagliato nell’uomo? Cosa c’è di così distorto nella sua anima da vedere qualsiasi limite come una costante sfida? Come un pugnale puntato al proprio orgoglio, come un’onta della quale liberarsi solo attraverso un millenario, infaticabile, sfibrante sforzo di affinamento, miglioramento, superamento…
E solo un insensibile può giudicare questa mia premessa come troppo “epica” nel parlare di automobili, solo un superficiale sarebbe incapace di leggere la portata culturale dietro alla genesi quasi contemporanea di tre progetti quali Ferrari LaFerrari, McLaren P1 e Porsche 918.
L’aspetto straordinario di queste tre vetture è dato dal vedere come tre aziende, tre gruppi di talentuosi professionisti abbiano saputo e voluto elaborare tre ricette diverse per giungere in tempi sorprendentemente vicini a formulare altrettante risposte originali e tecnicamente inedite.
L’obiettivo dichiarato, per ognuna delle tre case, era spostare sensibilmente l’asticella delle prestazioni, oggi anche intese come guidabilità e fruibilità da parte di piloti non solo professionisti, ma seguendo un approccio differente, forse meno “barocco” di quello seguito da Bugatti con Veyron.
Il vincolo del prezzo è spesso un elemento di grande stimolo per noi designer e per tutti i progettisti, ma quelle rare volte nelle quali tale vincolo viene rimosso, si possono generare trionfi di kitsch e cattivo gusto, oppure progetti sublimi, all’interno dei quali vengono concentrati i materiali più esotici, le soluzioni più inedite, le dotazioni più ricche e l’elettronica più raffinata.
LaFerrari, P1 e 918 sono questo: momenti di altissima tecnologia coordinati da progettisti il cui obiettivo finale era quel miglioramento dell’esistente che crea progresso per tutti.
La sensazione inebriante di fare qualcosa per la prima volta e la profonda diversità fra queste tre vetture dimostrano come l’innovazione sia la medicina per l’omologazione.
Ognuna di queste vetture differisce dalle altre nello stile, nei valori che vuole trasmettere, nel modo di erogare e gestire la potenza, persino nel numero di motori e di ruote motrici…
L’oggettiva difficoltà nel sancire una vincitrice viene vissuta dai veri amanti del progresso e dell’innovazione come una grande vittoria: si possono e si devono percorrere strade molto diverse per giungere ad un medesimo, ma mai raggiunto prima obiettivo.
Il risultato?
Semplicemente incredibile: potenze stratosferiche, peraltro erogate “disegnando” le curve di erogazione ed accordando motori a scoppio e motori elettrici, creando un’inedita simbiosi fra le due tecnologie.
Non più opposizione fra i due tipi di propulsori, bensì un’integrazione che porta ad un risultato maggiore della semplice somma degli addendi.
L’elettrico si integra in modo indissolubile in LaFerrari, mentre muove la P1 in autonomia per circa dieci chilometri, che diventano quasi trenta nel caso della 918.
Filosofie diverse, risultati unici, idealmente da possedere tutti.
La compostezza stilistica della 918 diventa puro eccitamento poco dietro le orecchie degli occupanti, con gli scarichi verticali più straordinari di sempre, mentre per P1 gli stilisti McLaren hanno fortunatamente evitato il tepore della MP4, per realizzare un drappo sinuoso, ma mai organico, flessuosamente avvolto attorno alla straordinaria meccanica. LaFerrari, dal suo, non segue il nichilismo ‘racing’ della F40, rifiuta le rigidezze della Enzo e sfoggia un equilibrio straordinario di curve e superfici tese, di scienza dei fluidi e poesia.
Troppi gli elementi di spicco nella tecnica di queste vetture per poterli elencare, ma ancor di più troppe le parole necessarie a commentare le forme di questi corpi vettura che devono essere al contempo delle sagome stabili a quasi 350 chilometri all’ora, quindi presentare porzioni ed appendici mobili per variare i carichi aerodinamici in diverse fasi della guida sportiva, nonché i flussi di raffreddamento verso gli organi meccanici.
In realtà, sopra a tutto devono poter trasferire la potenza di un sogno, di una sfida che nessuno ci ha imposto, ma proprio per questo motivo, sapere che non una, bensì tre aziende hanno saputo vincere, ci rende profondamente felici…